LE MIE LETTERE DA LONDRA!

 

Tutte pubblicate quotidianamente sulla Voce di Romagna nel mese di giugno 2004, mentre lavoravo al  Financial Times

 

 

 

 

C’è un giornalista inglese – Nicholas Farrell, per me un caro amico – che da qualche anno a questa parte dalle pagine di questo giornale (la Voce di Romagna, ndr) si diverte a fare la barba, con la lama del suo sarcasmo, alla nostra società romagnola e alla nostra Italia in generale. Non si offenderà quindi se un italiano purosangue come me si è stanziato per un periodo indefinito (quindici giorni, un mese? Vedremo… ) a Londra a fare la barba con la vecchia lametta romagnola alla società inglese.

Mi sono piazzato in una delle residenze universitarie più prestigiose di Londra (tacciamo per ora il nome), e qui resterò per il tempo che il mio stomaco e la mia lontananza dalle spiagge mi consentirà. Per i turisti inglesi che si trovassero a leggere la Voce in questi giorni, apro subito con una dichiarazione spassionata: la società inglese funziona meglio di quella italiana. Avremo modo di vederlo nei giorni che saranno in tutte le sue pieghe più recondite. Ma forse a questa società inglese che così bene funziona manca qualcosa di cui invece la vituperata italianità è stracolma. Che cosa sarà? Ai lettori che avranno la pazienza di seguirmi in questo cammino quotidiano qualche elemento per rispondere a questa domanda verrà dato. Sperando di non deludere la quotidianità di questa mia striscia disperdendomi in qualche pub stragonfio di Guinness o peggio ancora a Soho, auguro a tutti una buona permanenza in Italia.

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Voi che vi state ingozzando di spaghetti affogati nel sugo di pomodoro, o voialtri che vi state strozzando con un succulento cappelletto al ragù, non date per scontata l’importanza dell’ottimo cibo che tutti i giorni vi è dato mangiare! Sì, perché il luogo comune secondo cui in Inghilterra si mangia male è sacrosanto ed empiricamente testato. Bisogna scordarsi i profumini della cucina di casa densi di erbette e fragranze di ogni tipo, o i sapori deliziosi delle nostre tavole. Qui il profumo di cibo migliore che c’è è il puzzo di pesce fritto, e il sapore meno stomachevole è l’hamburger di McDonald’s. Ogni tanto mi trovo a chiedermi come abbia fatto questa società a svilupparsi senza gli spaghetti, e raggiungere il controllo di una buona fetta del globo con lo stomaco pieno di schifezze.

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Il fatto è che manca decisamente la cultura per il cibo. E non si tratta solo di ciò che si mangia – che è inaffrontabile – ma anche di come e quando si mangia. Tutti mangiano a tutte le ore senza nessun criterio toast ricoperti di formaggio fuso e di roba pesantissima spesso di difficile identificazione. Salsicce stracotte alle otto di mattina, dolci iperpesanti alle dieci di sera. C’è da perdere i ritmi circadiani. Speriamo solo che nella futura Unione Europea il ministero dell’alimentazione rimanga saldo nelle mani italiane…

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Oggi ho fatto il mio ingresso al Financial Times, il tempio del giornalismo economico mondiale. Impressionante. Scrivere ai lettori della Voce da Soutwark Bridge, dove si staglia l'edificio nero ed aristocratico del FT (come gli inglesi lo chiamano), incastrato fra le rive del Tamigi, mi fa almeno un po' impressione.
Qui gli inglesi sono tutti gentilissimi, persino la mensa e accettabile e la nostalgia per il cappelletto si stempera un po'. Incredibile per Londra. Quasi quasi addirittura non si nota il fatto che il tempo fa letteralmente schifo, e la pioggia ha riconquistato la City.

Una confessione per coloro che hanno la pazienza di leggermi: in attesa di una postazione piu stabile, sto scrivendo (con la tastiera inglese, per cui scusate gli errori di battitura...) abusivamente dal computer di un giornalista dal nome di sicuro piu famoso del mio che e in pausa pranzo. Ma non ditelo a nessuno...

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What’s the weather like? Tutti sanno che gli inglesi parlano sempre di tempo atmosferico. Che tempo farà, che pioggia scenderà, che tipo di nebbia dovremo sopportare… Ma è solo stando un po’ qui che si capisce il perché di questa insolita passione. Il tempo, a Londra, cambia ogni cinque minuti. Ci si sveglia la mattina con uno splendido sole primaverile, ci si veste per fare jogging, e dopo mezz’ora inizia a piovere. Appena si è tornati in casa a guardare la pioggia, le nuvole si diradano, magari si prende su con qualche amico e si va a fare un giro ad Hyde Park, e giù ancora pioggia. È da dire che il cielo d’Inghilterra ha un suo fascino tutto particolare. È meno banale del nostro, che è o pieno di sole o pieno di nuvole. Qui il bello e il brutto tempo combattono di continuo per la supremazia, e non c’è mai nulla di scontato in questa lotta.

Rimpiangere i caldazzi dell’estate scorsa in Italia proprio non si può. Però camminando per Regent’s Park a giugno sotto un sole pallido e un po’ sciapo fa crescere la nostalgia per le spiagge carnalmente assolate, per le giornate che richiedono per forza gli occhiali da sole, per i raggi solari italiani che a volte diventano quasi dolorosi. Ecco cosa manca qui. Qui, anche quando sembra esserci, manca il sole.

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venerdì, 04 giugno 2004

Una delle cose piu strane a Londra e la moda nel vestire. Tanti italiani perdono la serenita cercando di emulare gli usi e i costumi londinesi, comprando quelle scarpe da ginnastica, quelle giacchettine o quelle magliette. In realta la verita piu profonda e che a Londra non esiste uno stile londinese. Ognuno si veste come gli pare e piace, a seconda di come si sveglia la mattina o di che tempo fa. Non esistono scarpe o magliette londinesi. Punto. Forse in questo sta il vero nocciolo del “London style”.
E pero vero che, pur con questa totale liberta, ogni quartiere ha un suo proprio look, a cui viene quasi spontaneo adattarsi con un vestiario appropriato. Se si cammina sulle rive del Tamigi nel cuore della City, come tutte le mattine mi trovo a fare per andare al Financial Times, ci si imbattera in banchieri in doppiopetto che si avvicinano molto allo stereotipo che abbiamo noi del “British”. Se si va a Hampstead o Kensigton, due dei migliori quartieri di Londra, si vedranno quegli stessi banchieri che alla sera tornano a casa e vogliono vestire casual, eleganti ma casual. Se invece si va a Soho, si vedono belle ragazze vestite bene e gay… vestiti da gay. Niente di scandaloso qui. Ma di Soho parleremo con piu calma in una prossima lettera.

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martedì, 08 giugno 2004

Da romagnolo non posso esimermi dal parlare delle donne a Londra. Intanto non e vero che le donne inglesi sono tutte brutte, come lo stereotipo continua a sostenere. O meglio, e vero per meta. Intanto di donne inglesi a Londra ce ne sono ben poche. Camminando per le strade o entrando nei pubs si incontrano ragazze orientali, indiane, africane, sudamericane, tedesche e quant’altro. Ce n’e insomma per tutti i gusti. Nel mio ufficio al Financial Times, che e un enorme open space e si puo quindi tenere d’occhio tutti e tutte, ci sono almeno un paio di ragazze molto belle, una australiana rossa con le lentiggini, ed una, che potrebbe tranquillamente fare la modella, che invece e proprio inglese. Quindi sfatiamo il mito delle inglesi brutte. Denti a parte. I problemi con le donne qui sono altri. Il primo e che non e che sappiano vestirsi granche bene. E un gran peccato vedere ragazze anche bellissime con scarpe che in Italia metterebero solo gli operai del bitume. E il secondo e che sono talmente fredde e solitarie che se non sono ubriache, cosa peraltro non inusuale, si imbarazzano solo per uno sguardo. Qualche buon romagnolo scafato sa forse darmi qualche indizio su come migliorare l’approccio con le inglesi? Grazie sin d’ora.

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Parliamo di Soho. La meta di tutti gli italiani che vengono a Londra. Soho e un quartiere che sembra un po’ Milano Marittima, un po’ Riccione, ma con un pizzico di trasgressione in piu. A Soho ci sono locali per gay, gay in ogni angolo (e qui sembra una cosa normale…), locali di spogliarelli, neri che ti fermano per la strada per chiederti se vuoi entrare in un locale di spogliarelli, spogliarelliste, qualche bel ristorante, qualche bel wine bar o pub, e in mezzo a queste cose ogni tanto c’e una porta aperta su una scala con cartelli del tipo “models upstairs” o cose del genere. E non c’e niente altro. Pero ha decisamente il suo fascino, quella cosa che non si puo trasmettere ma che si capisce solo quando ci si trova nel mezzo di una Greek Street affollata, o quando si vedono le lucine delle strade laterali di Brewer Street.
Non e poi niente di speciale, molto meglio Milano Marittima o Riccione, ma il fatto che si trovi esattamente nel centro di Londra rende il tutto mitologicamente piu affascinante…

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I parchi di Londra noi italiani possiamo solo sognarli. Ogni grosso quartiere ha il suo parco, e ogni parco ha le sue caratteristiche che lo rendono unico. Hyde Park, Regent’s Park, Hampstead Heath… Dopo una settimana di duro lavoro, il week end qui e sacro, e lo si passa al parco. C’e chi gioca a cricket, chi gioca a tennis (come il sottoscritto), chi passa i pomeriggi seduto su una panchina a guardare se il verde degli alberi si intona con l’azzurro dei laghetti che sono sparsi un po’ ovunque.
Mentre ero seduto su una panchina nella gobba di una splendida collina a Hampstead Heath – un parco enorme costruito sui dislivelli del terreno proprio in mezzo a un quartiere ricchissimo e affollatissimo – a guardare prati sterminati che finiscono in piccoli boschetti senza che fosse possibile vedere una strada o una casa, provavo ad immaginare se una cosa del genere sarebbe mai possibile in Italia. E mi immaginavo l’esistenza di un sindaco disposto a rinunciare ai quattrini che gli arrivano, tra quelli puliti e quelli no, dall’urbanizzazione per fare dei parchi per i cittadini. A quell punto mi sono svegliato, e mi sono reso conto che in Italia non avremo mai dei parchi come quelli di Londra.
Ma presto torneremo a parlare di urbanizzazione, case e di Londra.

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Sara tutta l’acqua che a Londra viene giu senza che tu neanche te ne accorga, o forse I colori stemperati e senza eccessi che ti circondano. A Londra i fuochi della passione si spengono, e ci si concentra solo sul lavoro. Non c’e estate, non c’e voglia di divertimento come lo intendiamo noi. Non c’e carnalita nelle cose che si fanno. Si mangia per nutrirsi, ma si fatica a trovare il piacere per la buona tavola e la buona compagnia. Si esce e si va al pub, ma lo si fa quasi per routine, e al massimo ci si ubriaca, ma della voglia di sano divertimento neppure l‘ombra. Forse neppure negli eccessi di Soho (per la cui parodia contenuta in una precedente lettera sono stato rimproverato…) si trova quel gusto per il divertimento e quella scintilla di vita che illumina tante parti della nostra Italia. Tutto sommato pero a questa maniera e molto piu facile lavorare, pensare alla carriera e non alle distrazioni. E sara forse per questo che Londra e la capitale d’Europa, sia dal punto di vista economico, sia – diciamocelo pure – dal punto di vista politico. God save the Queen

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Alcune cose sono veramente British. Un uomo in giacca e cravatta che cammina compostamente nel parco in mezzo al verde degli alberi e all’azzurro dei laghetti. Una ragazza bionda con i capelli legati e un gonna anni “50. Un cane di razza in un orto botanico. Un cielo azzurro pieno di nuvole disegnate.
Un indiano che fischietta l’inno nazionale, un piatto di carne dispersa in un quintale di verdure stracotte. Le rive del Thames affollate di turisti ordinati, prati infiniti cosparsi di ragazzi che giocano a cricket. Magliette con i colori dell’Inghilterra o del Galles, alberi ad ogni angolo di ogni strada. Un compiacimento per la propria arte di recitare in tutti i momenti, in tutte le occasioni. Vestiti buffi che nessuno metterebbe ostentati con orgoglio e sicurezza. Tube, bastoni da passeggio, cani da caccia, capigliature rosse e tazze di the. Memorie di re, regine, duchi, marchesi, conti  baroni, campi di battaglia e orgoglio nazionale.
Per tutto questo, God save the Queen

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Sembra cosi facile trovare lavoro a Londra… Si scrive una email al capo del’azienda (nel mio caso del giornale), si attende risposta e si va a parlare. A questa maniera proprio ieri mi sono mosso dal Financial Times a The Times, il colosso di proprieta di Rupert Murdoch, per parlare con il responsabile degli affari esteri. Colloquio fruttuoso, dal punto di vista professionale.
Mi immagino l’Italia… Per arrivare li sarei dovuto andare a parlare con qualche politico, il quale avrebbe chiamato qualche amico, e forse, se il politico fosse stato abbastanza potente, avrei avuto un’udienza. Ho provato a comportarmi more britannico con i giornali italiani: nel sito internet di una buona parte di loro non ci sono neppure gli indirizzi email per il contatto…
Ecco quindi un’altra ragione per cantare “God save the Queen… “.

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Appello agli imprenditori romagnoli! A Londra c’e una cosa che manca, e che potrebbe diventare un grande business. Ma perche nessuno ci ha pensato prima? Un bel chiosco di piadine, magari una catena di chioschi, attirerebbe di sicuro l’interesse dei britannici e dei molti stranieri non particolarmente entusiasti dei mischioni di cibo turco-greco-indiano che si trovano nei loro piatti. Piadina: un McDonald romagnolo, con cibo sano e adatto al clima di quest’isola. Ho anche gia in mente il posto e qualche slogan promozionale. Piadina col prosciutto, squacquarone e rucola, prosciutto cotto etc. potrebbero sostituire i vari whoppers, Mcchicken, cheeseburger… anche perche sto ancora soffrendo per lo smacco di aver trovato un unico negozio in tutta Londra che vende piadine (riminesi), la cui proprietaria e di Modena.
Se qualche imprenditore ha voglia di buttarsi, facciamo insieme questo business, cosi potremo cantare tutti insieme, in romagnolo, “God save the Queen…”.

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L’ordine, il senso della gerarchia, l’appartenenza ad una societa. Tutti, le belle ragazze rosse, Naomi, bionde, Caroline, more, Rebecca, dell’ufficio dove lavoro, lo scaltro direttore della residenza dove vivo, persino l’amico italiano trasferitosi a Londra… Tutti sembrano essere parti di una societa ordinata che ha fini chiari e posto per tutti. Questo invidio all’Inghilterra. Ognuno ha un posto, e se quel posto gli sta stretto ne cerca un altro, se ci riesce. Non si vive nel chaos di ruoli e di compiti come nell’Europa continentale, specialmente, neanche a dirlo, l’Italia. I giorni hanno significati diversi, la vacanza arriva solo nel fine settimana anche se non si lavora, persino i luoghi partecipano di questo gioco di gestione di un ordine: la casa, il parco, il luogo di lavoro…

E poi niente festa della donna, niente festa dei lavoratori (qua lavorano tutti…), niente partiti comunisti con i loro spettri e le loro frustrazioni. Ma purtroppo un mare di politically correct. Questa e l’Inghilterra. Insomma… “God save the Queen… “.

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martedì, 22 giugno 2004

Gli inglesi hanno una cosa che a noi manca: il senso della carriera. Se qualcuno si ricorda il film "Una Poltrona per Due" (che e ambientato in America, ma l'esempio rende bene), ha chiaro cosa intendo. Qui la professione e vista come una scalata ad una montagna in cui qualcuno arrivera in cima, qualcun altro arrivera a meta, qualcun altro si fermera dopo pochi passi, fermo il fatto che tutti fanno tutto il possibile per arrivare quanto piu in alto possibile. Tutto, nella rigidita anglosassone, ha un suo posto preciso in un ordine che tutti sembrano avere chiaro. Per fare il mio esempio: il primo giorno mi hanno fatto semplicemente aprire delle buste e mistare della posta. Il terzo giorno ho partecipato ad una riunione di redazione. Il quarto giorno, fattomi un po' avanti, il direttore mi ha chiesto una nota per una idea su un articolo che gli avevo esposto. Il quinto giorno lo stesso direttore mi ha chiesto di iniziare a lavorare sull'articolo. Ora, non credo che prima della fine del mio soggiorno quassu l'editore mi chiedera di dirigere il Financial Times, ma credo che se volessi entrare nella mentalita anglosassone, e proprio quello a cui devo puntare.

 

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Mi son trovato a parlare con un banchiere che lavora nella City. Uno di quelli che si suppone indossino la bombetta e la tipica giacca inglese. E credo di aver capito il trucco dell'Inghilterra. La mitologia. Il banchiere mi ha svelato che il livello lavorativo che si puo trovare a Londra, lo si puo benissimo trovare a Milano, a Madrid o a Berlino. La differenza sta proprio nella bombetta. Cioe in quell'aria di affidabilita e di sicurezza che il British style sembra trasmettere. Gli inglesi sanno coltivare le loro mitologie. Trafalgar square non e altro che una piazza, come puo benissimo essere piazza Saffi a Forli. Pero in quella piazza e passato Byron, o Keats, o chissa quale re, e per questo e speciale, e gli inglesi lo hanno raccontato a tutto il mondo, che va quindi in visibilio se si parla di Trafalgar Square. La stessa cosa dicasi per I loro poeti, o l'idea di English gentleman. In Italia avremmo un milione di luoghi, di eventi, idee e di persone da rendere mitologici. Ma siamo incapaci di coltivare il mito. Anzi, chi cerca di farlo, per esempio col mito del "galantuomo romagnolo", e tacciato di essere retro. Abbiamo molto da imparare dagli inglesi

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Ho comprato una maglietta da rugby del Galles. E per tutti gli amanti dell'isola di Albione, e per placare le ire di Farrell che potrebbe sentirsi piccato dale mie barbose lamentele sugli usi britannici, oggi facciamo un elogio ai popoli inglese, gallese e scozzese partendo proprio da questa maglietta a manica lunga. Qui ogni identita territoriale - inglese, gallese, scozzese - si identifica con una serie di simboli ben precisi di fronte ai quali tutti si inchinano. Sulla mia maglietta del Galles, rossa con il colletto bianco, c'e la patacca gallese, e appena l'ho indossata tutti i gallesi che conosco hanno iniziato a farmi mille complimenti, e mi trattavano da loro pari. La stessa cosa dicasi per la croce di san Giorgio, rossa in campo bianco, simbolo d'Inghilterra, di fronte alla quale gli inglesi vanno in visibilio. Li invidio. Perche in Italia abbiamo perso il senso dei simboli e quindi il senso di appartenenza. Quanti di noi vanno cosi tanto in brodo di giuggiole perche vedono una caveja o un gallo romagnolo? E quanti lo fanno per la bandiera italiana? Colpa dei francesi e della rivoluzione francese. ma il discorso si fa troppo lungo. Finiamo quindi con un bel "God save the Queen! ".

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Sono i particolari che a Londra ti distruggono. Donne con scarpe orribili e senza tacchi. Barbe di indiani. Zaffate di odore di fritto. Cinesi che gridano nella loro lingua. Lo sguardo freddo e arrabbiato di uomini biondi in giacca e cravatta. E acqua, tantissima acqua. Anche quando non piove, anche quando c'e il sole e fa caldo, l'acqua si vede dappertutto. Nel verde sbiadito degli alberi e dei prati, nei modi educati e spenti dei gentleman, nei sapori meccanici del cibo.I particolari uccidono. Ma c' qualcos'altro che ti tira su il morale e ti da la forza di andare avanti. Servizi che funzionano. Persone disponibili ed educate. Possibilita di fare carriera per tutti. E soldi, tantissimi soldi. Anche quando non li vedi, quando stai pensando ad altro. Negli uomini sui taxi. Nelle case curate e raffinate. Nello sguardo altezzoso di chi i soldi li sa maneggiare veramente. Negli edifici imponenti e spaventosi della City. E tutto questo ti fa coltivare il sogno di essere almeno un po' britannico. God save the Queen.

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Che impressione. Ieri ci sono state le elezioni europee in Gran Bretagna. Ma non me ne sono accorto. In Italia ci saranno solo questo week end. E quindici giorni fa quando ho lasciato Ravenna, la citta era gia tappezzata di faccioni e simboli dei candidati. Molte di quelle facce non le rivedro mai piu, i pochi che verranno eletti li rivedro ancora forse in tv a litigare con Giuliano Ferrara. Qui invece le elezioni ci sono gia state, e non c'era un cartellone, nessuno che cercasse di carpire voti, nessun mezzo di comunicazione che parlasse di continuo di candidati e partiti. Sara forse che qui hanno capito che l'Unione Europea sta diventando una bella fregatura, e se ne stanno molto sulle proprie in attesa di un referendum con cui andarsene. Sara il mitologico stile inglese. Ma quest'anno grazie alla permanenza in Inghilterra sono riuscito a superare indenne l'ostacolo elettorale, senza riempirmi lo stomaco di acido fatto di promesse e slogan costruiti apposta per fregare gli elettori. Ancora una volta, God save the Queen.

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Sono stato invitato ad un prestigioso tennis club da un amico inglese. Dopo essere riuscito a farmi riprendere perché stavo portando un bambino di un anno e mezzo (il figlio cioè del mio amico) che parlottava da una parte all’altra del club (“Silent, please, this is a tennis club… “), intorno alle 16.30 sono stato invitato a bere un the sul prato del club.

Non si può stare a Londra senza bere ettolitri di the. Non so se la tradizione del the delle 5 sia semplicemente terminata, o se non sia mai esistita, o se sia stata affiancata da tradizioni di the ad altri orari. Fatto sta che qui bevono the a tutte le ore del giorno e della sera. Alla mattina con i quintali di roba salata che iniettano in uno stomaco appena sveglio (cosa che da buon italiano ho imparato ad evitare), a metà mattina sul posto di lavoro, dopo pranzo invece del caffè, la sera prima di andare a letto… Gli inglesi litigano fra loro, tra l’altro, sulle teorie intorno al the. Con o senza latte? Ma il latte va versato prima o dopo il the? E lo zucchero? Tutto ciò è molto britannico. Per cui God save the Queen

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Nel pieno centro di Kensington c’è un negozietto che vende cibo italiano. Portato lì da un amico pugliese che fa il banchiere a Londra a “mangiare roba romagnola”, mi sono trovato di fronte ad un piatto pieno di piadina riminese con stracchino rucola e prosciutto crudo. Tutto contento per aver trovato qualche romagnolo a Londra, ho subito chiesto ai ragazzi del bancone chi fosse romagnolo di loro. Mi risponde un brasiliano, dicendomi che la padrone del negozio è romagnola. Tutto contento chiedo: “e di dove? ”. E la risposta del brasiliano è: “ di Modena”. Al che mi irrigidisco un attimo, e faccio presente che Modena è in Emilia, riscuotendo il consenso, non troppo convinto, degli altri due ragazzi al bancone, entrambi siciliani o pugliesi o giù di là. Le malefatte degli amministratori emilianoromagnoli arrivano ahimè fin quassù. La confusione tra Emilia, Romagna, Emiliaromagna e quant’altro che continuano a esportare in giro per il mondo è riuscita a raggiungermi persino nella capitale del Regno Unito… Qui le identità le hanno ben chiare, queste cose non succedono. Per cui God save the Queen

save the Queen

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giovedì, 24 giugno 2004

E anche questa esperienza e finita. Con tanta tristezza per cio che lascio qui a Londra, ma con un po' di voglia di rivedere la Romagna, mi trovo a tirare le somme di questo periodo. Sono stato tre settimane e un po' a Londra, al Financial Times. Ci sono arrivato senza politici o tessere di partito. Ho iniziato aprendo buste e ho finito scrivendo un articolo. E non e detto che il mio rapporto col FT finisca qui. Ho avuto modo di parlare piu volte e a lungo con il direttore del FT Magazine, e sono stato ricevuto dal direttore del "foreign desk" di The Times. Forse se avessi come obiettivo di trasferirmi a Londra e di fare il giornalista qui con il tempo ci riuscirei. Tutto questo in Italia e pressoche impossibile.Ho conosciuto una cultura ed una civilta affascinante e piena di charme, che detiene le leve del potere, quello vero, quello economico. Mi sono fatto un'idea di come la meritocrazia possa essere un sistema funzionante, di come le idee liberali - che dal mio misero osservatorio italiano sembrano utopie - possano incarnarsi e funzionare. E dopo tre settimane ho iniziato a non disdegnare piu di tanto il cibo inglese. Ho visto qualcosa del giornalismo britannico, da alcuni considerato il migliore del mondo, da altri il peggiore. E lascio Londra con l'intenzione di tornarci quanto prima, per continuare ad apprendere. Ho cantato ogni giorno, alla fine di ogni mia lettera, "God save the Queen" per onorare il simbolo di questa meravigliosa civilta. Ed ora, per l'ultimo giorno al mio desk che guarda sul Tamigi, non posso che dire, dal piu profondo del cuore, "Dio salvi la Regina! ".

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Da "Libero", 27 giugno 2004. Mercurio sono io...

Il mio nome è Nik. Spia di Sua Maestà

di NICHOLAS FARRELL

Come il dio Mercurio, un collega italiano è appena tornato da un periodo di lavoro al prestigioso Financial Times di Londra portando notizie drammatiche. Dice che secondo "impeccabili fonti londinesi" io, cioè Farrell, sono una spia assoldata da Sua Maestà. Il mio nome in codice, se non sbaglio, è "Sangiovese", dicono. Mentre era a Londra, il mio amico ha potuto muoversi in circoli molto influenti grazie in parte a me. Così, ciò che i frequentatori di questi circoli gli hanno detto non può essere, quindi, liquidato con leggerezza. Se il cervello dietro alla diceria è britannico, allora sospetto che la prima guerra irachena abbia qualcosa ha che fare con questo. Durante quella guerra, intervistai un prominente iracheno per il mio giornale di allora, il Sunday Telegraph, nella sala da tea dell'Hotel a cinque stelle Grosvenor House nella zona esclusiva di Londra M ay f a i r. Intervista all'iracheno Chiesi all'uomo quanti cucchiaini di zucchero volesse nel tea egli cadde morto sul colpo. Il verdetto di maggioranza al tempo fu che l'iracheno era stato ucciso dalla combinazione della mia faccia e del mio vestito nero di velluto. Ma ci fu chi, anche allora, accennò a spiegazioni più tenebrose. Se, d'altronde, il cervello dietro alla diceria non è britannico, allora sospetto che sia la sinistra italiana. Il suo motivo? Facile. Sono una creatura bizzarra: sono un giornalista straniero in Italia che si rifiuta di rigurgitare sulla stampa estera la sua assurda propaganda sul cosiddetto regime berlusconiano. Ma quanto più insidioso è trattare Farrell non per mezzo della violenza, bensì per mezzo del fango: mettendo in giro sotto voce che è una spia. Naturalmente, è inutile che io cerchi di negare l'accusa. È come cercare di negare di essere un alcolista. Più lo neghi, più lo confermi Un'altra possibilità mi viene in mente: sì, sono una spia, ma non me ne rendo conto. Certo, la mia presenza nella rossa Romagna dove io mi manifesto ormai da quasi sei anni è misteriosa, anche per me. Giuro e metto la mano sul fuoco che spesso mi chiedo: «Che cavolo sto facendo qui?» Mi definisco "scrittore", ma gli indigeni non s'ingannano; mi chiamano "l'inglese". Supponiamo, ad ogni modo, per un momento che io sia un membro del MI6 (il braccio d'oltre- mare dei Servizi Segreti di Sua Maestà) e che ne sia pienamente consapevole. Supponiamo che sia Connery della Romagna. Supponiamo che ogni volta che sono in missione se- greta, per esempio una puntata al bar per un bicchiere di Sangiovese, io dica al barista ogni volta: «il mio nome è Farrell. Nick Farrell.» Nella rossa Romagna Ma naturalmente una vera spia, diversamente da una spia fittizia, deve mimetizzarsi tra gli indigeni con ogni mezzo possibile. Io trovo che indossare una T-shirt di Che Guevara, portare baffi da Stalin e guidare una R4 del 1983 aiutano un po'. Ma il problema è che a 1.90 m di altezza mi elevo sopra al romagnolo medio e, per quanto mi sforzi, trovo impossibile camuffare il mio forte accento anglosassone. Comunque questo non significa che l'Agente Segreto Farrell sia una spia completamente inutile. Effettivamente credo di essermi imbattuto in un'arma di distruzione di massa proprio qui in Romagna: cioè la piadina. Così audace è il nemico romagnolo che produce questa cosa atroce piuttosto apertamente e a livello industriale. Io compro più pia- dine possibili e le butto direttamente nella spazzatura. Ma temo che un uomo solo, benché del calibro dell'Agente Farrell, non possa neutralizzare tutte le piadine. A dire il vero, più ci penso e più mi piace l'idea di essere una spia perché: «Il mio nome è Farrell. Nick Farrell.»

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giovedì, 08 luglio 2004

La mia risposta a Farrell sulla Voce di Romagna...

Un messaggio per il collega Nicholas Farrell: torna a casa in Inghilterra finché sei in tempo! Dalle pagine di questo quotidiano e di Libero mi ha dipinto come Mercurio che gli porta da Londra la notizia: lui è una spia di Sua Maestà. E io confermo.

E ora gli do tramite le pagine della Voce una missione specifica: sbrigati a tornare in Inghilterra ad informare la Regina di cosa succede in Emilia trattino Romagna, o non sai cosa può succedere a te e a tutti noi! Altrimenti potresti tu stesso essere inghiottito dagli ingranaggi del sistema, e chissà come può andare a finire!

Fra poco Nicholas Farrell, che ha studiato a Cambridge e che è cresciuto nell’isola di Albione, ma che risiede nel territorio dell’Emilia trattino Romagna, potrebbe scoprire cose su se stesso che sino ad ora aveva trascurato. Prima era un uomo libero. Adesso è una pecora del gregge che cammina verso il sol dell’avvenire. Infatti grazie al meticoloso lavoro del Consiglio Regionale della regione Emilia trattino Romagna, con l’approvazione del nuovo Statuto anche Farrell dovrà rassegnarsi ad accettare la sua nuova condizione. Condizione di uomo appartenente ad una comunità fondata “sui valori del Risorgimento e della Resistenza al nazismo e al fascismo”. E che canta bandiera rossa. Eh sì, caro Nik, basta libri “su” Mussolini, ora devi scrivere libri “contro” di lui! E se pensavi di essere venuto nella terra degli splendori di Bisanzio, di Dante, di Byron, ricrediti! Quello che è stato prima del Risorgimento e che non è in linea con i quattro dogmi dell’ideologia è stato cancellato con un semplice colpo di spugna, non esiste più.

Ma rassegnati anche a partecipare della “giustizia sociale”, termine che – ti ricordo – i comunisti usavano per mascherare la rivoluzione, e dimenticati quindi della società ordinata e del sistema liberale che hai lasciato in Inghilterra. Giustizia sociale che fa il pari con la “pari dignità sociale della persona”, che lo Statuto ostenta ad ogni piè sospinto. Fosse pari dignità tutti saremmo d’accordo. Ma dignità “sociale” è un’altra cosa. Significa che chi ha fatto i soldi, chi si è guadagnato da vivere onestamente, nella società deve contare quanto chi non ha fatto nulla. Però stai attento, non chiamarle idee comuniste queste! Da una quindicina d’anni è un termine vietato.

Ah, e se credevi di essere nella terra dei romagnoli, sappi che questi non esistono più, sostituiti dagli emilianoromagnoli. D’altra parte il consiglio regionale che ha deciso è eletto con i voti dei cittadini… Dimentica Londra, la capitale adesso è la splendida città di Bologna, anch’essa tornata nelle mani dei compagni e quindi facilmente riconducibile alla giustizia sociale e agli ordini del partito. E abbandona la tua fede anglicana. Questa è una terra atea o al massimo agnostica.

Caro Nik, bisogna che ti abitui a questo nuovo mondo, dimenticandoti di quella libertà che la tua terra ti ha insegnato: in trent’anni si è costituito pian pianino un bel sovietburo a Bologna, lontano da tutto e da tutti, adesso ha deciso e tutti possiamo solo annuire ebeti. Questa è la “democrazia” all’emilianoromagnola. Potresti per cortesia informare la Regina?

 

 

paologambi@libero.it

 

 

 

 

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